FRANCO RICCIARDI – 30

Quest’anno ricorre il 30° anniversario della sua carriera.
Un’ artista dalle mille sfaccettature che ha saputo adattarsi ai tempi e agli stili senza mai perdere la propria identità, che è quella che lo contraddistingue e rende unico.
Ogni suo pezzo è reso immediatamente riconoscibile da una voce ed una grinta inconfondibili.
Ogni suo concerto è un’esperienza trascinante che ti rende inevitabile guardare dritto negli occhi le difficili verità sociali.
30 anni che sono stati di duro lavoro non per eccellere, ma per imparare dagli altri e costruire messaggi semplici da comprendere e custodire dentro di sé.
Questo è Franco.

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Puoi darci un’anticipazione di come festeggerai quest’occasione? Organizzerai un grande spettacolo?  
Eh si, quest’anno sono 30 anni, ma non so bene cosa fare per festeggiare. Purtroppo non c’è molto tempo da dedicare all’organizzazione di qualcosa che sia all’altezza dell’occasione. Sono molto preso dalla preparazione di due importanti progetti, un film e un docufilm. Poi ci sono le serate, i concerti e quant’altro. Non c’è davvero il tempo materiale e l’attenzione giusta per metter su un evento che sia degno di essere definito tale. Un evento è un tipo di spettacolo totalmente diverso e di certo non posso riproporre il consueto repertorio di un concerto. Avrei sicuramente piacere nell’organizzare qualcosa di speciale.
Di conseguenza credo di organizzare, più che altro, una festa tra amici. Ancora non ho scelto la location perché sono il tipo che fa le cose all’ultimo minuto, ma alla fine le cose fatte così risultano sempre le migliori.
Amici, musica, forse una festa è la scelta più adeguata, così mi diverto anch’io. Non ci sono prove di scaletta, nuovi arrangiamenti e quant’altro. Sarà una giornata non stressante ma rilassante. Gruppo, musica, bella gente, senza pressione, vivendo tutto con leggerezza. Non sarà una festa aperta a tutti, gli inviti saranno per amici, artisti e gli addetti ai lavori.

Dalla tua prima esibizione ne è passata di acqua sotto i ponti. Molte sono state le tue esperienze ed hanno toccato diversi aspetti del mondo dello spettacolo e della comunicazione. Com’è nata la tua esperienza in campo cinematografico?
L’esperienza cinematografica è nata per caso. Sono stato chiamato dai Manetti Bros. Volevano espressamente me. In un incontro mi hanno spiegato il progetto di “Song’e Napule”. Poi è arrivata la proposta di affidarmi un ruolo. La volontà c’era, il progetto mi piaceva ed ero entusiasta, ma anche un po’ insicuro perché non avevo mai recitato, fino a quel momento, se non in teatro. Cinema e teatro sono due contesti differenti. Le metodiche e l’approccio alla recitazione assai diversi. Nonostante ciò, ci ho provato.
In precedenza avevo avuto modo di partecipare a due musical in teatro, “Luna nera” e “Uno-sei-sette: Dall’aula al palcoscenico”. È stata un’esperienza bellissima. Mi ci sono catapultato perché era un progetto sociale che affrontava una tematica importante, quella della “dispersione scolastica”. La prima si ebbe al Teatro Totò. Varie istituzioni furono coinvolte. La rappresentazione fu trasmessa in seconda serata su Rai 2 alla trasmissione “Palco e retropalco”.
Intrapresi questa esperienza perché era una buona idea, perché furono avvicinati ragazzi presi dalla strada per realizzare un musical. Questi ragazzi furono coinvolti ed impegnati per mettere in scena uno spettacolo, ed io l’ho fatto insieme a loro. È stato bello confrontarsi con una realtà che alla fine mi appartiene. Tutti ragazzi di periferia. Io interpretavo me stesso. Per quanto riguarda i ragazzi, lo sceneggiatore li ascoltava con attenzione riuscendo poi a cucire addosso ad ognuno di loro un personaggio. Questo ha fatto si che ci fosse immedesimazione nei protagonisti e che si avesse l’illusione di stare proprio in quei luoghi, tra le strade di Scampia.

Sappiamo che c’è un altro progetto in programma, puoi dirci qualcosa?
L’anno nuovo uscirà l’ultimo film a cui ho partecipato e nel quale recito accanto a Carlo Buccirosso, Claudia Gerini, Paolo Morelli e Serena Rossi. Molto umilmente ho chiesto di darmi una mano per poter contribuire al meglio alla pellicola e da ognuno di loro ho imparato qualcosa. In questo film sono coprotagonista. Il titolo provvisorio è “Nun’è Napule”, dei Manetti Bros. Uscirà nel 2017.
Mi ha appassionato tantissimo il cinema. Non sapevo ed avevo quasi paura.
Non capivo come gli attori potessero cambiare così repentinamente e meccanicamente. È difficile recitare ed approfondire un’emozione che poi devi interrompere per riprendere con un’altra. O magari interrompere la scena e riprenderla da dove la si era lasciata e con la stessa intensità.
Sono abituato alle canzoni che hanno un inizio ed una fine. I Manetti Bros mi hanno fatto capire che ogni ciack è come una canzone. La ripeti sempre ed ogni volta che la ripeti cerchi di fare sempre meglio. Ogni scena è una canzone, ed il concerto è l’intero film.
Di quest’esperienza mi è rimasta la conoscenza, l’approcciare con le persone e l’imparare da loro. Sono una persona che ama essere alunno anziché insegnante. Credo che ci sia sempre da imparare e che s’impari fino all’ultimo istante di vita. Questo è il mio spirito e il modo in cui vino e mi rapporto agli altri. Non amo essere primo, perché quando sei primo sei solo. Quando arrivi non hai più stimoli, come se non ci fosse più nulla da fare e non avessi più nessuno contro cui combattere.

Molte sono state le tue collaborazioni musicali. Qualcuna ti ha lasciato un segno più di altre?
Ogni collaborazione ha lasciato qualcosa ed ha avuto la sua importanza. Da ognuna ho preso e appreso delle cose. Sono tutte importanti nella vita, non c’è una classifica.

Il tuo con Ivan Granatino sembra, oramai, un sodalizio indissolubile. Avete nuovi progetti insieme?
Abbiamo fatto delle cose assieme e ne faremo delle altre. Ivan ha un suo percorso, un suo stile ed è giusto che non diventi una figura associata troppo a Franco. Ha un’identità propria, un talento tutto suo, ed è giusto che segua il suo cammino.
Sono anche direttore della Cuore Nero Project, l’etichetta che lo produce. La mia dev’essere una palestra che lo prepari a combattere. Ivan è uno bravo, un combattente, ed io l’ho notato subito. Ho sempre puntato su di lui. Ho avvertito, sulla pelle, le sue capacità. Ivan è un vero talento. Ho condiviso con lui spesso il mio palco, gli ho dato fiducia perché lui se l’è saputa conquistare.
Credo tanto nei giovani perché credere in loro è credere nel futuro, nel nuovo.
Io mi chiedo ancora oggi da grande cosa dovrò fare.

Cuore Nero Project è la tua etichetta discografica indipendente. Perché è nata e dove vuoi condurla?
Nasce per la mia esigenza di libertà. L’arte non può essere vincolata all’etichetta o al produttore di turno che ti impone di fare delle scelte artistiche in base al mercato perché il mercato ti chiede un determinato tipo di musica e di tematiche. Quando sei legato ad un’etichetta o ad un produttore, devi dar conto. Ma sono dell’avviso che la musica, per arrivare alle persone, dev’essere vera, libera. La Cuore Nero Project rappresenta proprio questa mia esigenza, la libertà di espressione, di pensare, di fare, di raccontare.
Mi auguro che continui ad essere questo per sempre, che sia un’etichetta che rappresenti la libertà di essere. Io mi amo ed amo le persone. Mi rispetto e rispetto le persone. La Cuore Nero è la libertà di essere sé stessi e mi auguro sia così per sempre.

Durante la tua carriera il tuo sound ha subito delle mutazioni, commistioni, influenze. Come lo definiresti ad oggi?
La mia è una musica in continua evoluzione. Ad oggi non so definirtela con precisione. Non posso dirti <<quello è il mio suono>>. Il mio suono è la mia voce. Fa da collante, diventa l’anello di congiunzione tra un genere e l’altro.
Nel corso della mia carriera ho toccato molti generi musicali, ma non perché fossi alla ricerca di un mio genere. Il mio genere è proprio questo mio rinnovarmi anno per anno. Così facendo, analizzando il mio percorso, mi sono reso conto di essere, in qualche modo, tornato al punto di partenza. Infatti, con “Figli e Figliastri”, ho realizzato di aver utilizzato dei suoni molto simili a quelli del mio primo disco dell’86. Questa rivelazione mi ha fatto riflettere su come siano passati 30 anni che, di per sé, sono il tempo di “riciclo”, come vale per la moda così per la musica. Ad esempio gli anni ‘90 somigliano ai ’60, mentre oggi prendiamo spunto dai ’90 e così via. Gira e rigira ti ritrovi a guardarti indietro e a riproporre sound che hanno delle influenze del passato ma con accorgimenti innovativi.
Sono del parere che sia facile fare cose difficili, testi articolati, arrangiamenti complicati e non riuscire a farsi capire dal pubblico. Al contrario è molto più difficile realizzare un prodotto semplice e riuscire ad arrivare al cuore della gente.

Volendo fare un bilancio di questi anni cosa ti è rimasto? C’è qualcosa che cambieresti?
Non cambierei nulla perché tutto ciò che ho realizzato è stato fatto con passione e amore. Seppure mi sia capitato di riarrangiare dei brani, come nel caso di “Treno” e “Promesse”, sono tornati rinnovati, ma l’anima del pezzo è rimasta la stessa.
Non rinnego nulla e rifarei tutto. Non sento di aver fatto grandi errori, e se sono stati fatti è stato perché amo il rischio. Il bello della musica, dell’arte, è questo, il rischio, l’adrenalina che sale, la paura del risultato. Questi sono gli stimoli che mi fanno andare avanti. Credo nelle emozioni e nelle cose che faccio. È anche giusto che, delle volte, qualcuno non capisca, ma è anche vero che non ti diranno mai che non hanno capito, piuttosto diranno <<non mi piace>>.

C’è qualcosa che ancora non hai fatto ma che ti piacerebbe provare?
Sicuramente ci sono un milione di cose che ancora voglio realizzare, sono appena agli inizi.
Guai se non ci fosse più nulla da fare, sarebbe finita. Come quando ho detto che organizzare un evento per i miei 30 anni di carriera non mi attira molto come idea.
Non amo fare sunti e pensare a tutto ciò che è stato, ma amo guardare avanti senza voltarmi indietro.
Delle volte, leggendo la mia biografia, mi viene da pensare a cosa avrei fatto da grande se non avessi fatto il cantante …avrei fatto il cantante!

intervista a cura di
Bruno Cirillo e Ermelinda Belsito

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