Nino D’angelo: lo scugnizzo del popolo al San Paolo

Il ragazzo della curva b ritorna allo Stadio San Paolo per un grande concerto.per regalare a Napoli ed ai napoletani una serata indimenticabile. Festeggiare il suo  sessantesimo compleanno  con il popolo, chi lo ha sempre seguito, rispettato ed amato per la sua musica. Primo di sei figli, di padre operaio e di madre casalinga, inizia a intonare le prime canzoni sulle ginocchia del nonno materno, grande appassionato di musica napoletana. Crescendo, mentre i suoi coetanei si lasciano influenzare dai gruppi moderni (sono gli anni in cui il “Mondo” musicale osanna i Beatles), il piccolo Nino si lega sempre più alla musica della sua terra, delle sue origini, ed ai suoi interpreti: miti del calibro di Sergio Bruni, Mario Abbate, Mario Merola.Durante uno spettacolo amatoriale, nella parrocchia di San Benedetto a Casoria, viene scoperto da Padre Raffaello, un frate cappuccino, che lo incita e lo aiuta ad intraprendere la carriera di cantante. Inizia a partecipare a quasi tutti i festival di voci nuove che si tengono in città e nella provincia, e in breve tempo diventa uno dei cantanti più richiesti della galleria Umberto I di Napoli, luogo di incontro per piccoli impresari che organizzano matrimoni e feste di piazza.
Nel 1976, grazie ad una colletta familiare, riesce a mettere insieme la somma necessaria per incidere il suo primo 45 giri, dal titolo “A storia mia” (‘O scippo), che lui stesso commercializza con il sistema della vendita porta a porta. Il successo di questo disco supera ogni aspettativa e così nasce la fortunata idea di farne una sceneggiata dallo stesso titolo, alla quale ne seguono altre: “L’onorevole”, “‘E figli d ‘a carità”, “L’ultimo Natale ‘e papa mio”, “‘A parturente”.
 Nel corso dello spettacolo Nino ripercorrerà 40 anni di carriera attraverso le sue hit più famose, sabato l’aspetta il San Paolo…
<<Ho scelto lo stadio San Paolo perché per questo compleanno ho sentito l’esigenza di avere uno spazio grande- racconta D’Angelo- , che fosse comunque un simbolo della città. Avrei dovuto fare un live in ogni vicolo di Napoli, o nel quartiere dove sono nato e cresciuto, per ringraziare il pubblico che mi segue da sempre. Da qui la scelta dello stadio, senza dimenticare che io sono sempre “quel ragazzo della Curva B. È bello restare un po’ scugnizzi, sentire il calore di chi ti vuole bene per quello che sei, “a prescindere”, come diceva l’immenso Totò>>. Comincia così il viaggio nel ventre di Napoli assieme a Nino D’Angelo. Uno degli ultimi figli di quella cultura partenopea verace. Domani l’ex caschetto d’oro dei B-movie, il principino neomelodico dei “bassi” di San Pietro a Patierno (periferia nordorientale di Napoli), l’indimenticabile scugnizzo di ’Nu jeans e ’na maglietta compie sessant’anni. E per festeggiarli, sabato 24 giugno sarà re per una notte nello stadio che fu il regno di Diego Armando Maradona. Il “Nino” d’oro torna a essere Quel ragazzo della Curva B: salirà sul palco dello stadio San Paolo per una data unica e imperdibile di “Concerto 6.0”. «Un progetto che in autunno proseguirà col dvd dello spettacolo e un triplo disco I miei più grandi insuccessi, spiega divertito l’eterno ragazzo della Curva B.
La canzone divenne l’inno – non ufficiale – e portò bene: spinse il Napoli di Maradona a vincere il primo scudetto (stagione 1986-’87). Era l’anno dello scudetto di Maradona?
«Che tempi… Maradona? L’amico di tante serate. Con Diego ci accomunano le origini, il venire dal niente o dal poco: conosciamo bene le sofferenze e i sacrifici fatti per lasciarci alle spalle la povertà e vorremmo che la vita fosse un po’ più tenera e generosa con tutti».
Se lo immaginava che lo scugnizzo che vendeva gelati alla stazione di Napoli Centrale un giorno sarebbe arrivato a cantare al San Paolo davanti a ventimila persone?
«È uno di quei desideri nato e cresciuto come me, per la strada. È lì che ho imparato tutto ciò che so, ascoltando le voci e i rumori della gente. Mammà non teneva i soldi per farmi studiare. Mio padre emigrò al nord, operaio a Lecco: spediva lo stipendio a casa per poter sfamare sei figli. Ma non bastava mai per tutti. Così, io che ero il più grande, a tredici anni ho lasciato la scuola e sono andato a lavorare».
D’angelo lei è partito da un quartiere di periferia come San Pietro a Patierno ed è riuscito a raggiungere un successo internazionale, lo avrebbe immaginato?
«La mia, è la storia dello scugnizzo autodidatta. Ho vissuto come tutti i figli dei figli della guerra, mangiando speranze e ingegnandomi con la fantasia. Non avevamo niente, tranne la miseria. E quella mi offendeva, mi faceva star male. Ma nun ce stava ’u tiempo né per chiagnere (per piangere) e tanto meno per la noia. Poi col tempo, ho scoperto che con la passione e il talento i grandi sogni si possono anche realizzare».
Le sue canzoni dallo stile “ninomelodico” vendevano milioni di copie. E al cinema, i film “fotoromanzati”, dal suo debutto, nel 1981, in Fatalità di Ninì Grassia, fino alla sua prima regia Giuro che ti amo (1986), sbancavano al botteghino. Ma la critica la massacrava definendola un “prodotto di bassa cultura…lei sì ammalò anche di depressione…
<<Nel 1991 affronto un periodo di depressione dovuto alla scomparsa dei miei  genitori e avverto la necessità di un cambiamento. Intraprendere un nuovo percorso era molto difficile per me, considerato da tutti solo per il caschetto che portavo e non per la qualità dei dischi che vendevo. Ma questa sfida era l’unico stimolo che mi faceva andare avanti e così con dispiacere dei miei vecchi fans, taglio la chioma bionda ed inizio un nuovo percorso musicale, non più basato solo su storie d’amore, ma anche su stralci di vita quotidiana. E così nacquero “E la vita continua”, “Bravo ragazzo” e soprattutto “Tiempo”, forse il disco meno venduto, ma sicuramente il più apprezzato dalla critica>>.
Finalmente anche “gli intellettuali” iniziarono ad accorgersi di lei e dei contenuti dei testi delle sue canzoni. Da qui l’incontro con il critico Goffredo Fofi…
«Non smetterò mai di ringraziare un intellettuale onesto, preparato e coraggioso come Goffredo Fofi. È stato lui a sdoganarmi e a comprendere il senso profondo di un brano come “Ciucculatina d’ ’a ferrovia” e a dire ad alta voce che io non ero semplicemente un cantante neomelodico, ma la vera voce del sottoproletariato napoletano. Con ’O studente denunciavo il classismo che da sempre in questa città ostacola le relazioni tra i figli dei poveri e quelli della Napoli altolocata».
Vuol dire che Napoli è vittima e lo è ancora del classismo? «Una piaga che oggi sanguina sempre di più. I poveri che erano nati e cresciuti nel centro storico, nel cuore di Napoli, sono stati “deportati” nei gabbiotti, nei casermoni delle periferie di Ponticelli, a Scampia… rendendo un bel servizio alla camorra che lì ha il suo serbatoio della manovalanza. Ma state attenti, non fidatevi del luogo comune: la vera cultura millenaria di questa città non è quella che passa in tv o al cinema con “Gomorra”, quella è sottocultura, da cui ci si può salvare solo seguendo la via che ci indicò Pasolini: la cultura come riscatto».
Negli anni ottanta, lei ebbe una brutta disavventura a Napoli. Cosa accadde esattamente, lo può ricordare?
«Io vivevo a Napoli e non avevo nessuna intenzione di andarmene, ma purtroppo spararono alle mie finestre ed ebbi paura, soprattutto per mia moglie e per i miei figli che all’epoca erano piccoli. Scelsi Roma perché vi trascorrevo molto tempo in un periodo in cui giravo tanti film. Ma avrei potuto andare anche altrove, tanto Napoli sarebbe stata sempre con me».
E come è cambiato d’allora il suo rapporto con la città?
«Non è affatto cambiato, anche perché una quindicina di anni fa ho acquistato un appartamento a Casoria, dove tuttora vivo durante la settimana, poi torno a Roma il sabato e la domenica per vedere la famiglia che è rimasta lì. Ma anche quando sono nella capitale è come se fossi qui. Tutto in casa mia parla di Napoli, a partire dal dialetto che usiamo per esprimerci».
La prima a intuirlo fu la regista siciliana Roberta Torre che girò il docufilm La vita a volo d’angelo…
«Fu un successone al Festival di Venezia (1996) e io poi mi sdebitati componendo la colonna sonora del film della Torre, Tano da morirecon cui vinsi il David di Donatello come miglior musicista e il Nastro d’argento per la migliore musica da film. Poi è venuto un bel ruolo in Il cuore altrove di Pupi Avati e ormai ero finalmente libero di volare».
Voli continui, dal musical al grande schermo, cinque partecipazioni al Festival di Sanremo e in mezzo tanto teatro.
«In Raffaele Viviani, in questo Brecht che scrive in dialetto napoletano, ho scoperto la mia anima teatrale.Viviani racconta gli ultimi mettendosi sul loro piano. Eduardo De Filippo fa lo stesso, ma dalla prospettiva del borghese… Il teatro per me è anche una grande opportunità sociale e di sostegno ai giovani napoletani, per questo sono tornato alla “lotta”, alla direzione artistica del Trianon».
Con la sua musica Nino D’Angelo continua a raccontare Napoli e il messaggio arrivò persino a Miles Davis…
«Vado fiero di una cosa, quando in Italia non mi volevano neppure nelle balere la mia musica è entrata all’Olympia di Parigi, alla Royal Albert Hall di Londra, all’Academy Music di Brooklyn e al Madison Square Garden di New York. Ero il “terrone” che esportava la melodia napoletana nel mondo. Da noi, solo quell’uomo coltissimo e sensibile di Lucio Dalla amava le mie canzoni. Quando ci trovammo a Napoli una notte lo portai a vedere la casa dove ero nato e si emozionò quando gli dissi che però la mia casa non c’era più. Ah, Miles Davis è una storia fantastica… Ascoltò la mia voce alla radio mentre viaggiava in taxi e andò a comprarsi tutti i dischi e grazie a lui poi collaborai con Billy Preston».
Per molti critici e detrattori lei invece è rimasto l’erede di Mario Merola.
«Mario rimane il re della sceneggiata, è stato un grande e lo ricordo con affetto. Ma il mio maestro è Sergio Bruni e il mio mestiere è fare il cantante napoletano perché canto e vivo questa città. Cosa che stanno provando a fare giovani interessanti come Maldestro (suo nonno, Antonio Prestieri, è stato il mio primo impresario), Clementino e tanti altri che saliranno sul palco con me al San Paolo».
E di Gigi D’Alessio e della “vecchia guardia” partenopea cosa ne pensa?
«Gigi D’Alessio canta anche in napoletano, ma non è un cantante napoletano. Enzo Avitabile è tornato a fare il cantante napoletano passando per “le tarantelle black”. Tutti noi siamo debitori del grande maestro Peter Gabriel che ci ha insegnato il valore supremo, quello del suono».
E le altre due grandi anime di Napoli, Pino Daniele e Massimo Troisi che cosa le hanno insegnato?
«Prima di tutto che di artisti come loro, purtroppo, non ne nascono più. Pino rimane uno dei più grandi musicisti del ’900. Massimo mi volle nella nazionale dei “calciattori”, ma siccome il pallone ce l’aveva lui mi accolse dicendomi: “Se non ti sei portato il pallone non ti posso far giocare” – sorride. Mi sarebbe tanto piaciuto fare un film con Troisi, così come ora il mio sogno è fare un ruolo alla “Mi manda Picone”. Ma sono orgoglioso di aver recitato e composto la colonna sonora di Falchi per la regia di mio figlio, Toni D’Angelo».
Domani, che regalo di compleanno le piacerebbe ricevere?
«Rivedere la gioia che sprizzavano gli occhi di mia madre il giorno che gli regalai la casa… Grazie a Dio sono un uomo fortunato che non ha bisogno di niente. Sono un marito innamorato e un padre che ha imparato dai figli: tante volte ho chiesto loro il significato di una parola… Ecco, più che un regalo ho un desiderio: vedere Napoli e questo Paese migliori di adesso, sfruttando il potere della cultura e dell’arte che possono portare tanto lavoro ai giovani. Arte, turismo, cultura e musica sono le uniche armi che posso salvare  l’Italia daun brutto baratro>>. Ci saranno tanti amici ospiti al concerto…
<<sì, ho voluto invitare solo artisti napoletani Ribattezzando  “Il concerto 6.0” e vedrà la partecipazione di  Clementino, Gigi Finizio, Raiz, Enzo Gragnaniello, Rocco Hunt, Maria Nazionale, James Senese, Sal Da Vinci, e dell’attore Fortunato Cellino (Gomorra) e tanti altri>>.
Lei è sempre stato un grande tifoso del Napoli, negli ultimi tempi si parla  di cedere la maglia numero dieci ad Insigne, unico napoletano del Napoli di oggi?
La maglia numero 10 a Lorenzo Insigne? Deve fare ancora molte cose. Non gli stiamo dando un numero 10 a caso, gli stiamo dando la maglia di Diego Armando Maradona. E’ il proprietario di quella maglia>>.

Carlo Ferrajuolo – Pianetazzurro.it


Il palco sarà allestito in quella Curva B:

Questi i dettagli:
24 giugno 2017
Stadio San Paolo di Napoli
Inizio live: ore 21:00
Costo biglietti (esclusa prevendita): Prato – 25 euro; Curva B – 20 euro