STEFANIA LAY – OLTRE ME

Qualche anno d’attesa, ma non l’abbiamo aspettata invano. Rieccola più bella, più brava e più grintosa di prima. Ha voglia di mostrarsi a noi in tutta sè stessa, ciò che conosciamo e ciò che non conosciamo ancora, una Stefania con una marcia in più, una Stefania che, dopo essersi letta dentro, è pronta ad andare oltre.  Oltre l’amore, oltre la musica, oltre sè stessa.

La tua vita si è sempre divisa fra teatro e musica. Quale di queste due attività artistiche ha particolarmente inciso sulla formazione della Stefania Lay di oggi?
La musica e il teatro sono due cose totalmente diverse. Il teatro è un’esperienza live, di grosso impatto rispetto al canto. In un evento musicale la tua esibizione dura un flash e poi vai via. In teatro devi sostenere ore di spettacolo e non puoi né devi mai sbagliare. C’è un copione da conoscere a memoria. Il teatro è recitazione, canto, è postura, è attenzione e concentrazione. È un’esperienza a 360°, nonché un’esperienza di crescita.
Lo dico e ribadisco sempre: l’artista fondamentalmente è un po’ povero, si arricchisce solo con le esperienze. Un’artista non smette mai di crescere perché non deve smettere mai di imparare, questo è un pensiero che mi ha trasmesso mio padre il quale mi diceva sempre << questo lavoro ti dà e ti toglie, quindi tu prendilo sempre come un insegnamento anche, e soprattutto, le esperienze negative>>.
Il pubblico non guarda il seguito che hai o i guadagni che fai, il pubblico ti segue per quello che trasmetti e come lo trasmetti.
In conclusione sia il teatro che la musica mi sono servite per andare avanti, per crescere e per dimostrare a me stessa che anche io, nel mio piccolo, posso riuscire a fare molto.

Come queste due attività hanno inciso l’una sull’altra?
Nella musica ho riversato il cuore che mi ha regalato il teatro. La sensazione di calpestare le tavole di legno del palcoscenico è indescrivibile come lo è il calore che mi trasmette il pubblico che mi segue. Il teatro ti perfeziona e ti ritrovi ad interpretare una canzone diversamente perché prendi l’anima del teatro e la riversi nella musica, tira fuori l’altra parte di te.

Nel corso della tua carriera hai avuto molte collaborazioni e hai lavorato in molti contesti differenti, di quelli delle tue esperienze porti un bel ricordo e quale tra gli artisti con cui hai collaborato consideri tuo “maestro”?
Ho avuto molte esperienze teatrali, ho lavorato a Roma, ho lavorato nella “Compagnia dell’Arancia”, ho fatto un’opera lirica in spagnolo e girato in tour tutta l’Europa. Tante sono state le esperienze belle che ho vissuto, ma se dovessi ricordarne una, preferirei raccontarmi nella mia napoletanità. L’esperienza più bella della mia vita è stata quella con il grande Nino D’Angelo. Al di là dell’artista lui è un uomo, un padre, un fratello, una persona che mi ha fatto sempre sentire me stessa, mai un’artista. Lui mi ha trattata come una figlia, mi ha insegnato tante cose. Mi diceva sempre <<Tu, quando canti, non devi mai pensare che sei una cantante. Devi sempre pensare che stai interpretando un qualcosa che ti rappresenta e che devi trasmettere al pubblico>>. Questo è stato Nino D’Angelo …per me.

Dopo le prime esperienze nel campo dello spettacolo ti sei fermata, per un periodo. Hai mai pensato di dire “ora smetto”?
Mai! anche quando sono stata assente ero comunque presente. Diciamo che in realtà non mi sono mai fermata per davvero. Volevo solo capire cosa volevo e chi volevo essere. Ero in una fase di crescita.
Inoltre, purtroppo, per mia natura, non mi è mai piaciuto stare prepotentemente al centro dell’attenzione, sfornare album ogni anno solo per la necessità di esserci. Io sono Stefania Lay, ci sono nata, è il mio nome all’anagrafe. Da sempre cerco di dare di me un’immagine vera, pulita, scevra da costruzioni e artifici, per il puro piacere di apparire e mantenermi sulla cresta dell’onda. E poi credo che un diamante è apprezzato come tale perché prezioso e bello, perché non se ne vede uno facilmente. Ho sempre pensato di dare alla gente solo quello che sono convinta di poter dare. Quando realizzo un lavoro ci sono persone che lavorano con me, che credono nel mio progetto. Metto il cuore in tutto quello che faccio e proprio perché ci metto il cuore, non ce lo posso mettere sempre. Mettercelo sempre vorrebbe dire per me non essere più Stefania Lay, ma una versione falsata di me.

Ogni bravo artista ha comunque dei modelli a cui si ispira. Qual’è il tuo?
Ho sempre cercato di perfezionarmi cercando di non essere mai usuale e mai uguale a nessuno, di essere autentica. L’artista che mi ha accompagnato negli anni è stata Giorgia. Ricordo che avevo 13 anni ed è stata la prima cantante alla quale mi sono ispirata, ci ho studiato un po’ su tant’è che un po’ si notava la sua influenza quando facevo i piano bar con mio padre. Ma oggi voglio somigliare solo a me stessa, solo a Stefania.

La carriera non è mai una strada facile da percorrere, è sempre piena di curve ed ostacoli. Se potessi tornare indietro e rivedere alcune decisioni, cosa cambieresti?
Non cambierei assolutamente nulla anche perché la mia carriera ha visto “solo” curve, non è mai stata una strada dritta. A tornare indietro mi farei solo male. Sarebbe come andare contromano.

Hai raggiunto negli anni una considerevole notorietà ed hai un corposo seguito di fan. C’è un episodio, in merito, che ricordi col sorriso?
Ricordo due episodi in particolare. Nel primo ero a Marianella. e vicino la statua di Sant’Alfonso c’era il fan club mio è di Luciano Caldore. Era uno dei primi fan club che affrontano nella mia carriera. Ero uscita da solo pochi mesi e già una folla di gente mi acclamava. C’erano centinaia di persone che bloccavano Marianella. Io e mio padre, ad un certo punto, ci ritrovammo l’auto sommersa da queste fans che cominciarono a scuoterci. Erano come un mare di formiche su di una zolletta di zucchero. Ebbi una paura tremenda e ce ne andammo.
Il secondo episodio che ricordo è quando andai a cantare ad una festa di paese, avevo circa 15 anni. Quando salii sul palco vidi la piazza gremita di gente e c’erano una ventina di ragazze che piangevano. Mi bloccai, scesi dal palco e andai da mio padre chiedendo <<Papà ma perché stanno piangendo? Io canto, mica ho fatto qualcosa di male?>> e mio padre mi dovette spiegare <<piangono perché ci tengono a te. È l’emozione di vederti!>>

Il tuo nuovo album ha un titolo particolare, “Oltre Me”. Nasce da un profondo lavoro introspettivo. Hai scoperto un’altra te da fare conoscere al grande pubblico? Cosa c’è oltre Stefania?
Amo tanto questo disco nuovo. Ogni disco è come un figlio, è una parte di te, ti racconta. Questo disco è nato così, per caso. È nato dal supporto della produzione della Di Stazio Production e dell’agenzia “La Nuova Napoli”. Ho ricevuto una proposta molto importante e da persone che mi stimano da tempo, una proposta sentita che non ho potuto che accogliere con immensa gioia. Ero in una delle mie fasi di stasi in cui non sai se sentirti carne o pesce.
Il disco si chiama “ Oltre Me” perché nell’arco della mia vita sono sempre andata oltre, mai standard, mai usuale, ma sempre oltre ogni freno e tutto ciò che può essere regolare. Oltre me vedo una persona altruista, riflessiva, cerco sempre di prendere ciò che ho dentro e riversarlo nella musica.

Chi sono gli autori di questo album?
Molti nomi hanno partecipato a questo album. Abbiamo Piero Palumbo, Toto Fabiani, Melissa Della Peruta, Tony Aprile, Mirko Pastore, Daniele Bianco, Fabio Cozzolino. Un particolare ringraziamento va a Carlo Soreca per il suo apporto disinteressato. Ho scelto gli autori senza badare al ricco curriculum di successi musicali, questo sempre perché faccio le cose con il cuore. Ho scelto basandomi sulle emozioni immediate che mi davano i brani. Ogni canzone è come un vestito, se lo misuro e non mi sta bene, vuol dire che non è fatto per me.

A quale dei brani di questo disco sei più legata?
Il disco ha 8 tracce ma due sono i brani che sento fortemente miei. Uno è “Che uomo”, storia di un classico tradimento, tipico argomento della napoletanità. Poi c’è “Chesta song io” che è proprio il pezzo che mi rappresenta, che spiega tutto quello che sono stata e quello che sono. Una donna che si guarda allo specchio e si interroga. Si rivolge a se stessa in un dialogo con botta e risposta. Si dice <<come sei cambiata>> <<si, anche io ti vedo diversa>>. Sembrano due persone che colloquiano, ma in realtà sono sempre io.

Cosa diresti a coloro che non guardano di buon occhio il genere neomelodico?
Io mi definisco Neomelodica e sono orgogliosa di esserlo. Mi fanno rabbia coloro che parlano di questo genere con disprezzo. Neo-melodico è una parola coniata da Federico Vacalebre, giornalista de “Il Mattino”, nel 1995 al Maurizio Costanzo Show, per definire Nino D’Angelo, il primo del nostro genere. Poi dopo siamo nati tutti noi. Ieri la parola stava a significare “nuova melodia”, una nuova generazione di cantanti partenopei. Oggi questa parola è usata nel modo sbagliato, con disprezzo, come ad identificare un cantante trash. Questo perché non c’è più rispetto per la musica napoletana quando poi da sempre è stato il biglietto da visita dell’Italia all’estero.
Personalmente sono onorata e fiera di essere una Neomelodica.

Intervista a cura di Ermelinda Belsito